di Ruggero Morghen
Questo giornale ha più volte rievocato la cara figura di Gianni Baget Bozzo (1925-2009), l’acuto sacerdote e intellettuale ligure, esponente della Democrazia cristiana negli anni Cinquanta e storico del partito cattolico (“C'era una volta lo Scudo: viaggi nella storia”), che fu anche – e per due volte - europarlamentare. In realtà lo si è ricordato qui unicamente per la sua partecipazione, nel 1994, alla fondazione di Forza Italia, di cui redasse la Carta dei valori e che si occupò di radicare culturalmente nell'orizzonte del liberalismo popolare (ne scrisse nel 1997, naturalmente con introduzione di Berlusconi).
Più esattamente e limitatamente si è scritto che “Forza Italia, grazie agli amici Sandro Fontana e don Gianni Baget Bozzo, scelse di aderire al PPE”. Erano un DC Doc come Sandro Fontana ed uno d’antan, come don Gianni Baget Bozzo, indicati altrove quali due democristiani DOC di lungo corso. “Berlusconi, sollecitato da Sandro Fontana e da Don Gianni Baget Bozzo, decise di portare Forza Italia ad aderire al PPE, diventando il principale partito moderato italiano presente nel Partito Popolare” e “rappresentando, a tutt’oggi, la componente italiana più forte e autorevole di quel partito europeo”. Essi dunque “convinsero il Cavaliere a compiere la scelta di aderire alla famiglia dei Popolari”. E “Berlusconi, grazie alle sollecitazioni di Sandro Fontana e di don Gianni Baget Bozzo, suo intelligente mentore ideologico, scelse di allearsi a livello europeo con il PPE, di cui divenne uno dei più autorevoli leader per consenso elettorale e ruolo istituzionale”. Si è quindi ripetutamente lodata “la scelta che, a suo tempo, compì Berlusconi, sollecitato da due democristiani di razza, come Sandro Fontana e don Gianni Baget Bozzo”. “Solo alcuni (Baget Bozzo, Fontana...) - precisa dal canto suo il senatore Renzo Gubert - peroravano il legame con il PPE, ma l’adesione al PPE di FI rafforzò il PPE e segnò una strada migliore di quella che il partito-azienda desiderava”.
Tante variazioni su un unico tema, dunque, che suggeriscono di allargare lo sguardo anche ad altri contributi offerti nel tempo dal sacerdote savonese. Singolare, ad esempio, la sua visione del Trentino che – come scrive in un articolo per Panorama del 1995, “era la provincia felice della Dc” o addirittura il suo parco naturale. Il riferimento era al Trentino quale “area principe della Chiesa cattolica e della Dc” e, in particolare, a Trento, “la città dove il papa [Giovanni Paolo II, visto tra “ortodossia e liberazione”] ha celebrato la memoria del Concilio della Controriforma”. Proprio nella terra di De Gasperi e Chiara Lubich, nel cuore del “parco naturale della Dc”, Baget Bozzo vedeva l’affermarsi di “una nuova posizione che potremmo dire di sinistra cattolica, visto che il termine cattocomunista – osservava ironicamente – sembra offensivo”.
Ed è una posizione politica, questa della sinistra cattolica, che non coincide affatto con quella della sinistra dc (autonomia dei cattolici impegnati in politica, ossia laicità della politica), avendo la sua radice “non nella storia democristiana, ma nella evoluzione interna alla Chiesa degli ultimi trent’anni”: quindi a partire dalla conclusione del Concilio ecumenico Vaticano II. “L’unità dei cattolici attorno alla Dc - argomenta don Gianni – aveva velato i riflessi politici dello spostamento culturale che avveniva all’interno delle facoltà di teologia, delle riviste, dei convegni pastorali”. Propone quindi di chiamare questa nuova posizione politica “sinistra pastorale” e osserva anzi che “sarebbe una buona invenzione semantica” (si autopromuove spudoratamente, sembra quasi di sentire d’Annunzio che rivendica: “Ben merito io questo premio alla mia fede integra”). La spiega così, questa locuzione: perché – dice - la costruzione della nuova posizione politica “è avvenuta tutta all’interno del famoso linguaggio parlato all’interno del mondo ecclesiastico che prende il nome di pastorale”.
Un’invenzione semantica, la sua, che alla fine non si è affermata. Un articolo dimenticato, quello su Panorama, ma ancora ricco di suggestioni. E un solo dubbio: che parlando del nuovo linguaggio ecclesiastico don Gianni non avesse scritto “famoso” ma... “fumoso”.