di don Tommaso Stenico

 


La liturgia della Parola mette davanti agli occhi l'inaspettata sovversione di un Dio che presenta la sua regalità dal trono della Croce. Il Vangelo di san Luca presenta, come in un grande quadro, la regalità di Gesù nel momento della crocifissione. Ma come è possibile chiamare Re un uomo crocifisso? Come è possibile chiamare trono un patibolo? Come è possibile chiamare corona un groviglio di spine?

Al centro del Vangelo di oggi c'è proprio la Croce intesa come Mistero Pasquale.

La croce è segno di fedeltà e amore. Proprio sulla croce Gesù è all’«altezza» di Dio, che è Amore. Nei Vangeli, il tema della regalità è legato a quello della croce; anzi, proprio la regalità di Gesù è l'oggetto del dibattito che sottostà a tutto il racconto della Passione. E il tema della regalità di Gesù è sullo sfondo di tutto il racconto lucano della passione.

La croce è offerta di misericordia e di perdono; lo si evince dal dialogo di Gesù con il "buon" ladrone. È difficile è immaginare che a riconoscere la regalità di Cristo sia stato uno dei due malfattori crocifissi con il Nazareno: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». È il momento il cui il ladrone ruba la perla più bella della sua vita: il Regno che Gesù chiama Paradiso, cioè stato di felicità, di beatitudine, di gioia eterna. Commenta s. Agostino: "Fede grande! A tal fede non saprei cosa si possa aggiungere. Vacillarono coloro che avevano veduto Cristo risuscitare i morti, credette colui che lo vedeva pendere sulla croce".

Rispose Gesù: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». Con queste parole, Gesù, dal trono della croce, accoglie ogni uomo con infinita misericordia. Questi è il nostro Re: Colui che ha la forza regale e divina di di­menticare se stesso dentro la paura e la speranza dell'al­tro.

Il Re dell'universo appare tragicamente sconfitto, mortificato, punito con la pena destinata agli schiavi macchiatisi di reati infamanti, sbeffeggiato dai soldati, insultato anche da chi effettivamente quella pena aveva meritato e che gli moriva accanto.Eppure in questa apoteosi della sconfitta, una scritta campeggiava dall’alto su tutti: Inri, «Iesus Nazarenus Rex Iudeorum». Una scritta profetica, di fronte alla quale il lettore di ogni tempo abbassa il capo in segno di rispetto, nonostante o forse a causa di tutto quello che capita a Gesù.

Era stato inchiodato al legno di una croce proprio per la sua pretesa di regalità.

Sulla croce c’era un Re che ha vissuto ciò che ha proclamato, ossia che bisogna perdere la propria vita per salvarla, che bisogna rinunciare a sé stessi e caricarsi della propria croce (Lc 9,23), un Re che risponde benedizione a chi lo tratta da maledizione.

Cari Amici

Davvero Cristo Gesù non è re secondo i criteri umani. Egli lo è non per dominare, ma per servire. Lo è diventato non per mezzo della forza, ma umiliandosi fino alla morte di croce. Lo è per donare la vita a favore di tutti. Egli è Cristo, Re e Signore perché si è fatto servo. Egli è re perché con la sua morte ha dato la vita a quanti guardano a lui con fiducia, così come fece il buon ladrone.

La Croce è stata la grande vittoria di Dio ed è proprio la Croce la misura della nostra adesione a Dio, in Cristo. Il nostro re è un Re crocifisso; il Signore, Gesù è un Re che si mostra sotto l'aspetto di un uomo sconfitto. Una regalità vera quella di Gesù esercitata con amore e nell'amore fino al sacrificio totale della sua vita con il patibolo della Croce.Gesù non è sceso dalla croce, non ha salvato se stesso come richiesto provocatoriamente dai suoi avversari. 

La regalità di Gesù risplende nell'ostinazione dell'amore. L’aveva anticipato: «I re delle genti le signoreggiano e coloro i quali dominano su di esse si fanno chiamare benefattori. Ma … io sono in mezzo a voi come colui che serve». Dunque la regalità di Gesù è legata alla Croce; tuttavia la storia e la fede ci ricordano che il Crocifisso è risorto; il nostro Re è diventato il trionfatore sulla morte in quel luminoso, mattino di Pasqua ottenendo la risurrezione e la vita per chi vuole vivere e credere in Lui. E tornerà nella maestà della sua gloria.

Egli è re dell'intero creato; Egli è re di tutti gli uomini di tutti i tempi. E questo regno è già presente, è un regno che c'è già, e ne facciamo parte, chiunque noi siamo. Basta che riconosciamo il Re e ne sospiriamo la presenza, perché il Regno è indivisibile dalla persona di Gesù: è la comunione con Lui.

Il Vangelo di questa ultima domenica dell’Anno Liturgico insegna come dobbiamo guardare al Re Crocefisso. Dobbiamo guardarlo come lo ha guardato il buon ladrone: convinti della nostra infinita miseria. Egli è l’infinita misericordia del Padre che si ricorda di noi per introdurci nel suo Regno.

Dire oggi che Cristo è Re e Signore significa riconoscere Gesù come il Figlio di Dio e sottomettersi alla sua regalità e signoria; significa essere servi di Cristo re e Signore! Accogliendo il suo regno nei nostri cuori diventiamo artigiani di un mondo di fraternità, di giustizia e di pace.