Roberto Ruffilli è nato a Forlì il 18 febbraio 1937 e vi è morto il 16 aprile 1988.
Docente presso la Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Bologna. Senatore della Repubblica nelle legislature IX e X.
Il 16 aprile 1988 le Brigate Rosse Partito comunista combattente (BR-PCC), (proprio pochi giorni dopo la nascita del nuovo governo presieduto da De Mita (di cui Ruffilli era amico e consigliere), assassinarono Roberto Ruffilli. Egli era appena rientrato nella sua casa forlivese da un convegno in città. Fu sorpreso dai brigatisti Stefano Minguzzi e Franco Grilli, che travestiti da postini, suonarono alla porta della sua abitazione con la scusa di recapitargli un pacco postale; entrati nell'abitazione, lo condussero nel soggiorno, dove lo fecero inginocchiare accanto al divano per poi ucciderlo con tre colpi di pistola alla nuca.
Dopo una telefonata al quotidiano la Repubblica nel giorno stesso dell'assassinio, alle 10.40 del 21 aprile fu ritrovato, in un bar di via Torre Argentina a Roma un volantino rivendicante l'uccisione, che esordiva così:
«Sabato 16 aprile un nucleo armato della nostra organizzazione ha giustiziato Roberto Ruffilli, [...] uno dei migliori quadri politici della DC, l'uomo chiave del rinnovamento, vero e proprio cervello politico del progetto demitiano, teso ad aprire una nuova fase costituente, perno centrale del progetto di riformulazione delle regole del gioco, all'interno della complessiva rifunzionalizzazione dei poteri e degli apparati dello Stato. Ruffilli era altresì l'uomo di punta che ha guidato in questi ultimi anni la strategia democristiana sapendo concretamente ricucire, attraverso forzature e mediazioni, tutto l'arco delle forze politiche intorno a questo progetto, comprese le opposizioni istituzionali.
Firmato: Brigate Rosse per la costituzione del Partito Comunista Combattente».
Roberto Ruffilli, riprendendo le analisi di Moro si misurava con il tema della democrazia “compiuta” dettata dalle norme della Costituzione. Una democrazia che prevede la possibilità di alternanza delle maggioranze di governo.
Democrazia che in Italia non si era mai potuta realizzare a causa delle “pregiudiziali” imposte dalla guerra fredda. In base a queste pregiudiziali, come è noto, il maggior partito di opposizione, il Pci, non era legittimato a essere parte di dette maggioranze.
Proprio per questo suo impegno culturale e politico egli fu assassinato, come si comprende leggendo il testo del comunicato dei suoi assassini. Costoro evidentemente non volevano che si realizzasse la democrazia prevista dalla Costituzione.
Questo assassinio politico, è strettamente legato, nelle motivazioni, a quello di Aldo Moro.
Rimangono, per coloro che condividevano le idee di Ruffilli e di Aldo Moro, molti gravi interrogativi sulla storia della Repubblica Italiana. Interrogativi di cui non parleremo in questo giorno che vogliamo dedicare in silenzio alla memoria di questo uomo mite e generoso, martire della democrazia; non il solo martire purtroppo. Troppi sono stati i martiri in questa Repubblica democratica nella quale per definizione non vi dovrebbero essere martiri della democrazia.
Giorgio Pizzol