di Ruggero Morghen
Come invecchia la pelle formando delle macchie, invecchiano pure certi libri facendo affiorare – oggi che li riapriamo – numerose macchie gialle. È il caso di questo “La vita quotidiana secondo San Benedetto”, scritto da Léo Moulin ed edito dalla milanese Jaca Book nel 1980 quale anticipazione di un’opera più ricca e complessa. L’autore, che esprime tutta la sua ammirazione per i paesaggi monastici, venne anche invitato a Rimini, al Meeting ciellino che era allora ancora bambino.
Ecco sfilare, nei monasteri sparsi in tutt’Europa quali “pietre viventi fin nella morte”, la sala capitolare dove si riunisce la “congregatio”, il dormitorio comune che è uno dei vertici della mortificazione monastica (col sonno interrotto appunto per spirito di mortificazione), i servizi poi detti “necessaria” o “latrina”. A tavola il monaco spezza il suo pane decenter e mangia honeste et religiose, in silenzio. Il capitolo delle colpe sembra in qualche modo anticipare l’ora della verità ur-focolarina, mentre la copiatura dei manoscritti diviene – a poco a poco – il tipo stesso del lavoro monastico.
A chi vuole abbracciare la vita monastica entrando “in religione” si prospettano le durezze e le asperità attraverso cui si va a Dio (“dura et aspera per quae itur ad Deum”). La vita del monaco, che “milita sotto l’abate e la regola”, si svolge peraltro in un regime di diritto. Moulin parla a questo proposito, un po’provocatoriamente, di “democrazia monastica”. Nei consuetudinari si ritrovano ad esempio tutte le tecniche elettorali e deliberative che ci sono divenute familiari.
Spira in tutte le pagine del breve libro l’ammirazione dell’autore per questi uomini di fuoco, di ferro e di fede che – nella scia di san Benedetto “messaggero di pace, artigiano di unità, maestro di civilizzazione” (Paolo VI, 1964) – furono in modo indelebile i “padri dell’Europa”.



























