di Renzo Gubert
Penso sia cosa utile riprendere gli insegnamenti di economia e di politica economica che mi sono stati trasmessi da insegnanti seri dell'ITC Tambosi (ricordo il prof. Videsott) e poi dell'Istituto Superiore di Scienze Sociali (ora Sociologia) di Trento quando ero studente. Il dazio era un normale strumento di politica economica che serviva a tutelare le attività economiche in un sistema dal rischio di loro impoverimento o eliminazione causa concorrenza esterna.
Prima il MEC e poi l'Unione Europea sono sorti come strumento di creazione di unità dei diversi sistemi europei, prima sei e ora 27, confidando che la libera circolazione dei beni tra gli stati membri, accompagnata da politiche di riequilibro territoriale, avrebbe premiato le attività economiche dove organizzate in modo più efficiente, producendo così maggiore ricchezza. Ovviamente rimanevano i dazi per il controllo delle importazioni da fuori UE.
Organizzazione Mondiale del Commercio e enorme diminuzione dei costi economici e di tempo dei costi di trasporto e di comunicazione hanno poi convinto che i vantaggi della libera competizione potevano estendersi a tutti i sistemi, fissate alcune regole minimali. E così si è proceduto a ridurre o ad azzerare i dazi. Nel frattempo la Cina usciva dal suo isolamento anche politico, si modernizzava grazie all'incentivazione di investimenti di altri paesi, specie di quelli con tecnologia più avanzata e poi, anche per spinta degli investitori stranieri, veniva ammessa nell'Organizzazione Mondiale del Commercio, facilitando così gli scambi.
E' stata l'epoca del sostegno di tutti o quasi alla globalizzazione sulla base di teorie economiche liberiste, adottate anche dalle sinistre politiche. Le conseguenze sono state la perdita di molte attività economiche della UE e USA, dapprima per concorrenza sui costi della manodopera e della tutela ambientale e ora anche per le capacità di innovazione tecnologica.
Cominciano ad affiorare critiche sempre più diffuse alla teoria dell'utilità della globalizzazione, gradualmente sostenute politicamente dai cosiddetti "patrioti", da una nuova destra, specie negli USA, ma anche in Europa, che propone protezione di quelli che erano diventati sottosistemi del sistema globale destinati a perdere rilevanza economica.
Stiamo vivendo ora questa fase e v'è da chiedersi se non convenga fare proprie le critiche alla globalizzazione assai poco o per niente governata, ridando ai dazi la loro funzione di ripristino della libera concorrenza che eviti le sue declinazioni come concorrenza a senza parità di condizioni, specie nella tutela del lavoro e dell'ambiente.
Ciò che fa male nell'attuale reazione degli USA alla globalizzazione è l'uso dei dazi come strumento di pressione politica, anche per smantellare gli embrioni di governo globale che l'ONU e altre agenzie ed enti avevano costruito per avere pace e sviluppo diffuso. Serve che gli economisti elaborino misure che ovviino agli inconvenienti della liberalizzazione, se serve anche con dazi, senza che si debba tornare a visioni particolaristiche di ispirazione "patriottica", nazionalista o imperialista.
La visione delle relazioni tra società ispirata al principio della sussidiarietà, punto cruciale del pensiero sociale cristiano, per cui le nostre appartenenze sono molteplici, da quella locale a quella globale, non l'una contro l'altra armata ma con legami di solidarietà, può essere di aiuto. Troppo poco lamentarsi.