di Ruggero Morghen
In Italia il nome del Partito popolare è associato indissolubilmente al nome di don Luigi Sturzo. Non si potrebbe infatti concepire tutto il decorso del popolarismo – rileva Gabriele De Rosa, “studioso oggi dimenticato erroneamente” (lamenta Claudio Siniscalchi, che con lui si laureò) – senza riferirsi alla figura dominante del prete di Caltagirone, alla sua azione e al suo pensiero politico. De Rosa lo ribadisce nel testo pubblicato nell’Universale Laterza, che conserva criteri e caratteristiche della prima edizione del suo “Partito popolare italiano”.
Pochi giorni dopo la fine della gran guerra don Sturzo rivendica, infatti, la centralità dell’esperienza parlamentare. Invece – lamenta - “si sono arrogate di parlare, a nome della nazione, nuove costruzioni fittizie e temporanee”, che così elenca: “opere federate, fasci, partiti interventisti, comitati con centinaia di nomi”, i quali “hanno parlato in nome del paese, si sono sentiti depositari dell’anima combattente della Nazione” ma hanno, appunto, fatto a meno del Parlamento. Come chiamare il nuovo partito? Sturzo propose di lasciar da parte il nome di democrazia cristiana, che ricordava “un passato che ebbe luci ed ombre”, preferendo ad esso il nome di “popolare”, adoperato dai cattolici trentini.
Agli incontri della piccola costituente, prodromica alla formazione del nuovo partito, non partecipò Alcide De Gasperi, e neppure parteciparono Filippo Meda e Gronchi, piuttosto perplesso quest’ultimo. Quanto a Donati (ricordiamo qui la commossa biografia che gli dedicò Bedeschi), si accostò al popolarismo assai tardi, dopo il congresso di Venezia. Chiamato da don Sturzo, nel gennaio del 1923 si trasferì a Roma per prepararvi l’uscita del “Popolo”. Anche la polizia era informata dei movimenti in corso per la nascita del nuovo partito. “Secondo informazioni riferite confidenzialmente – si affermava in un dispaccio del 22 novembre 1918 -, un avvenimento di grande interesse starebbe per prodursi nel campo cattolico”.
Ad ogni modo il Partito popolare nacque “senza intervenzione della Santa Sede”, come riconobbe il cardinale segretario di Stato Pietro Gasparri in una lettera a Santucci del 1928. E l’Osservatore romano, due anni prima: “Il Partito popolare sorse spontaneamente, senza verun intervento della suprema autorità ecclesiastica con un programma – si aggiungeva – di difesa dei princìpî cristiani contro il liberalismo, che aveva imperversato e imperversava in Italia”. La prima battaglia politica che i popolari ingaggiarono nel paese fu quella per la riforma elettorale in senso proporzionalistico.



























