A Trento, in via San Marco, Chiara Lubich raccontava le sue scoperte e conosceva nuove compagne. Sulle pareti della sala le ragazze avevano scritto a lettere cubitali “O l’unità o la morte”: frase certamente costruita sul calco del garibaldino “Roma o morte”, ripreso in occasione della Marcia su Roma, e del dannunziano “Fiume o morte” (ma ci sarebbe stato anche il proclama di Che Guevara “Patria o muerte”).
Vicino ad un fornello stava, forse seduta, Fosca Pellegrini da Riva (anzi dall’Albola), “silenziosa spettatrice di quella gente anziana e giovinetta legata da un vincolo sodo di fratellanza, d’amore, d’Ideale (John O’Malley indica il passaggio “da legge a ideale” come una delle chiavi di lettura del Concilio), di Gioia”. La fondatrice del movimento dei Focolari qui parla anche di gioventù “ardente”: tema da lei ripreso nel discorso alle Gen d’Europa dell’aprile 1968: “L’importante ora è essere una gioventù ardente, infiammata d’amore di Dio, che incendi la gioventù del mondo intero”. Amore, s’intende, non come un vago e romantico sentimento, incapace di rimanere stabile nel mutare delle cose di questa vita e di produrre visibili e pratici frutti di bene per gli altri. Amore che, peraltro, sarebbe nel cognome – quindi nel destino stesso – di Chiara. “La città di Lubiana (Ljubljana) – rivela Eli Folonari – ha la stessa radice di Lubich, che significa amore”.
A Doriana Zamboni, cui dava lezioni di filosofia, la maestra trentina (in effetti la signorina Lubich lavorò come maestra non solo nel capoluogo ma anche nei paesi trentini) diceva: “Noi vogliamo fare una cosa nuova. Non so se tu hai mai visto un chiostro con tutte le colonne. Ecco, noi vogliamo fare un chiostro dove le colonne sono persone vive e in mezzo al giardino che loro racchiudono c’è una sorgente d’acqua viva: Gesù”. Iniziava così l’avventura dell’unità. “Partimmo sicuri – ricorderà la fondatrice nel 1999 – verso quella mèta”.
“Le prime storie, i primi miracoli, i primi fioretti – commenta a tal proposito l’economista Luigino Bruni, intellettuale organico proprio al movimento dei Focolari – danno vita ad una storia carismatica, a quei racconti carismatici innervati dalle storie e dalle parole dei primi tempi”. Il suo acuto intervento nell’ambito di un convegno teologico tenutosi alla Lateranense, dove Bruni ha paragonato i movimenti nella fase fondativa ad una sfera, che poi è destinata a divenire (proprio come il fascismo secondo Emilio Gentile) poliedro, ossia “un solido con più facce, opposto alla sfera che è simbolo di perfezione e omogeneità”. La definizione è di Andrea Cionci, che aggiunge: “Il poliedro si ricollega alla geometria sacra e ai solidi platonici (poliedro come struttura dell’universo), che vengono ripresi dall’alchimia (poliedro come unificazione degli opposti)”.
Dal canto suo mons. Lauro Tisi, vescovo di Trento, riferisce a Cadine di “un momento iniziatico di esplosione che destabilizza il sistema ecclesiale” per poi comporsi e rientrare nell’alveo della compagine ecclesiale. “Quando un carisma arriva sulla terra – riflette ancora Luigino Bruni – è un vino nuovissimo, frutto di un vitigno mai visto prima, sebbene frutto di innesti di vitigni della stessa grande vigna della Chiesa e dell’umanità”. Alla morte della fondatrice, secondo Bruni, quel vino tornerebbe improvvisamente nuovo mentre gli otri disponibili, ormai vecchi, andrebbero cambiati e buttati a mare (o museificati). E gli otri non sono affatto bruscolini ma proprio le “strutture, pratiche, regole, parole, fioretti” e anche gli “statuti e costituzioni” costruiti o voluti dalla stessa Lubich.
Ruggero Morghen