di Vitaliano Gemelli
Leggo i continui inviti di Giorgio Merlo per la ricomposizione dell’area politica popolare e cristiana e apprezzo i contenuti e le motivazioni. Tali inviti si ripetono anche da parte di altri autorevoli amici e dirigenti popolari e democristiani, senza che finora si sia giunti a risolvere il problema. D’altro canto, il radicalismo della sinistra, composita, eterogenea e qualunquista e le grandi manovre di sovranismo portate avanti dalla destra al governo, con Forza Italia silente, spingerebbero tutte le forze del centro che si riconoscono nel popolarismo sturziano e degasperiano ad una aggregazione necessaria e urgente.
Negli appelli di Merlo e degli altri, però, rilevo un vulnus che è rappresentato dalla ricerca di un “federatore”, che nella logica del popolarismo rappresenta la negazione della “democrazia partecipata” e la riproposizione di uno schema politico-organizzativo, del quale abbiamo sperimentato tutti i limiti con i Governi Berlusconi e Prodi con l’Ulivo, perché danno al “federatore” il ruolo carismatico e indispensabile dell’”uomo della provvidenza”, che nessuno ha e potrebbe avere nella concezione della democrazia sturziana e degasperiana.
L’egocentrismo dei leaders, che ostacola l’aggregazione dei movimenti e dei partiti di ispirazione popolare e democristiana, è il limite non tanto di chi si potrebbe riconoscersi in un grande movimento popolare, ma proprio dei leaders, affetti dalla patologia del leaderismo, che è stato costruito non solo e non tanto da Berlusconi o da Prodi, ma da uno schema culturale molto più invasivo, attuato dalla cultura della globalizzazione senza regole, che ha determinato la regola che chi ha più forza conquista il potere, a prescindere dalla bontà delle tesi proposte e dagli effetti, ormai noti, che hanno determinato e realizzato il principio della “diseguaglianza necessaria” nel mondo, anche a pena della dignità della persona.
Ovviamente non è solo un problema nazionale, ma mondiale, che corrode tutte le democrazie esistenti, che la cultura woke vuole trasformare, anche contro la volontà dei popoli.
Conseguenza di tanto è rappresentato dal comportamento di Trump, che per contrastare la deriva del partito democratico, si atteggia ad autocrate alla stregua degli altri autocrati esistenti (Putin, Netanyahu, Erdogan, Xi Jinping, ma con la tradizione della democrazia popolare dei regini comunisti, ecc.).
Allora forse non è necessario un “federatore”, ma una profonda riflessione sul senso della democrazia, sul suo significato e sulla sua attuazione, che non muta nel tempo, ma resta sempre “governo del popolo”, basta che il popolo venga messo in condizione di esercitare pienamente la sua prerogativa in termini reali, senza accorgimenti che ne virtualizzino l’esercizio, come le leggi elettorali esistenti.
Siamo in condizione di lavorare con umiltà – dote necessaria – per raggiungere l’obiettivo della riaggregazione di tutte le espressioni popolari e democristiane?
La risposta verrà dai fatti, che, qualora non si verificassero, relegheranno definitivamente tali espressioni alla cronaca effimera, perché la Storia merita ben altro livello di responsabilità dei suoi facitori.