di Stelio W. Venceslai
In due giorni il Conclave si è chiuso: fumata bianca e Papa a sorpresa. Tutte le previsioni, le anticipazioni, le profezie riesumate per l’occasione, gli oroscopi e le speranze sono andati in frantumi. Solo chiacchiere.
Il nuovo Papa è americano, ma un americano anche del mondo latino-americano con passaporto peruviano e radici europee. Un mix perfetto, colto e poliglotta, influente ma non conservatore, progressista ma con juicio. La Chiesa, forse, non poteva far di meglio.
La Chiesa ha dimostrato la sua grande forza. Una massa sorprendente di fedeli e di curiosi ha seguito a S. Pietro e in tutto il mondo un evento antico ma eccezionale. La Chiesa è viva, nonostante i suoi detrattori e l’indifferenza dei miscredenti. È anche troppo viva perché, dalle prime parole di Leone XIV, è emerso il contrasto con gli autocrati del mondo al di fuori (in tutti i sensi) della comunità cristiana.
Trump ha detto che è una notizia fantastica e che incontrerà appena possibile il primo Pontefice americano, ma la stella di Trump è oscurata dalla figura intensa di Leone XIV. Non è più sulla cresta dell’onda mediatica.
C’è un contrasto visibile tra le folle americane del MEGA (Make American Great Again) che osannano Trump e quelle silenziose del mondo russo o cinese, tra chi predica e pratica la guerra, minacciando un conflitto nucleare, e chi invoca una pace “disarmata e disarmante” e richiama con forza l’attenzione del mondo, sulla scia del magistero di Papa Francesco, verso i poveri, gli umili e i sofferenti cui non pensa nessuno.
A fronte della passione e dell’entusiasmo dimostrati dalle folle cristiane in tutto il mondo, è la squallida parata sulla Piazza Rossa di Mosca per celebrare la vittoria di ottant’anni fa sulla Germania di Hitler. Sfilano i veterani di una guerra gloriosa, sfilano perfettamente inquadrati i soldati dell’esercito, della marina e dell’aviazione russa nelle loro uniformi stirate e brillanti, sfilano i carri armati e i missili a testata nucleare, volano in cielo le squadriglie con i colori della Russia eterna, ma non fanno più impressione. È un esercito da parata che celebra una vittoria antica ma non riesce, da tre anni, a spezzare la resistenza ucraina. È un esercito sconfitto sul piano politico e sul terreno.
Non so cosa racconterà Putin ai suoi sostenitori e agli autocrati convenuti al suo fianco, in primo luogo alla Cina. Continua a dire che ha il consenso della sua gente, che la 2^ Guerra mondiale l’ha vinta lui, senza il concorso o quasi di Stati Uniti e Inghilterra, senza i massicci aiuti americani e con il silenzio del Giappone. Continua a mentire sulla storia della Russia e su i suoi immarcescibili destini. Forse minaccerà ancora una volta l’impiego delle sue forze nucleari per schiacciare la resistenza ucraina, perché lui è il leader della libertà e della democrazia insidiata dal nazifascismo dell’Occidente.
Si farà forte dell’appoggio della Corea del Nord e dell’Iran, due Paesi campioni di quell’altro mondo di cui auspica un assetto pro domo sua. Sperava di aggiungere alla sua corte un’Ucraina domata, come la Bielorussia, o come il Venezuela e Cuba, i satelliti d’oltre Atlantico. Non è ancora così. Anche lui ha fallito, nonostante il fasto della parata e l’arroganza omicida del suo potere.
Fa contrasto la Piazza Rossa con quella di S. Pietro. Un contrasto stridente. Da un canto la forza, impressionante, disciplinata, sempre in guerra (l’unica attività importante della Russia di Putin) e, dall’altro, la passione e la speranza di una pace collettiva, espressione di una fratellanza umana ben al di sopra dei miserabili sogni di conquista di un pezzo di terra in più, per la gloria di tutte le Russie.
Leone XIV affronta senza missili e minacce i problemi del mondo. Ancora una volta l’intero sistema geopolitico cambia, da un giorno all’altro. La Chiesa ha dimostrato la sua forza impressionante di cui bisognerà tener conto. Non sarà facile per il nuovo Pontefice sanare i dissidi interni, contenere le ambizioni di Trump, fare dell’unità della Chiesa l’arma per sconfiggere gli spettri dell’Apocalisse.
Relativamente giovane, ha davanti a sé un lungo percorso di pontificato che potrà incidere sulla vita spirituale del popolo dei suoi fedeli e sulle relazioni internazionali. Non è un salto nel buio ma una prospettiva piena di problemi inquietanti. Più di novanta guerre diverse devastano ed uccidono, in questo momento, sul pianeta. Un orrore senza fine.
Il conflitto appena iniziato tra India e Pakistan, fase di una lunga guerra che oppone i due Paesi da 82 anni per il possesso del Kashmir, apre nuovi scenari di sangue, di esodi e di massacri fra due potenze nucleari ma povere. Una contraddizione palese.
Il Pakistan è amico della Cina che lo finanzia e degli Stati Uniti che lo protegge, ma ciò non lo ha salvato dalla perdita del Bangladesh, il Bengala di britannica memoria, e da un grave conflitto interno di cui non si parla mai, quello del Belucistan, regione ai confini con l’Afghanistan e l’Iran, che aspira da tempo all’indipendenza. Il conflitto con l’India, in ottime relazioni con la Russia, potrebbe essere disastroso per Islamabad se dovesse protrarsi nel tempo o peggio ancora se, anche qui, in questo parte del mondo, si minaccia l’impiego dell’arma nucleare.
In realtà, il pianeta ha bisogno di pace, non di guerre. Il magistero di Papa Francesco ha fatto della pace il pilastro dell’azione della Chiesa. Su questo pilastro poggia anche la visione di Leone XIV, una continuità che fa ben sperare.
Il nuovo governo della Chiesa sarà sinodale, almeno apparentemente partecipato da tutti i cardinali e i vescovi del mondo. L’autocrazia tradizionale del Pontefice, interpretando le sue prime parole, sarà temperata dal concorso della nuovissima gerarchia vaticana. I suoi primi atti, e lo si vedrà dalle nomine, dovrebbero essere ispirati non solo dallo Spirito Santo, ma anche dalla percezione che tornare indietro rispetto alla rivoluzione di Papa Francesco sarebbe una delusione enorme per gran parte della comunità cristiana.