di Ruggero Morghen
Quarant’anni fa moriva a Grado, sua città natale, Biagio Marin. Lasciando ad altri, più competenti, il compito di delinearne la figura morale e rappresentarne la statura poetica, desidero qui ricordarlo come sincero amico di Riva del Garda.
Nel 1952 egli vinse il concorso di poesia triveneta Berto Barbarani di Verona, precedendo il rivano Giacomo Floriani. Nacque allora una calda amicizia tra i due poeti, tanto che Marin accettò di firmare la prefazione al canzoniere di Floriani Da la me baita, che usciva nel 1958 a cura dell’ingegner Riccardo Maroni, editore e cugino dell’architetto del Vittoriale. Quattro anni dopo Marin era a Riva, ospite del Museo civico e del gruppo Amici dell’arte per un incontro sulla poesia dialettale. Come ricorda il maestro Mario Matteotti, già primo cittadino di Riva, egli conservò sempre un rapporto affettuoso con tale sodalizio e un caro ricordo della cittadina benacense. In particolare apprezzò moltissimo alcune conchiglie fossili del monte Brione, “reliquie di creature informi” che, per serbare la forma, infine s’impietrano. “Hanno perduto la festa dei loro colori - ne scrisse - ma hanno conservato la forma. Sapessimo – concludeva pensoso - essere anche noi così”.
Oltre ad essere amico di Riva, Biagio Marin fu anche cittadino onorario di Abano Terme (come Jair Bolsonaro lo è di Anguillara Veneta, ma forse non ancora per molto). Lo apprendiamo da una scritta apposta a mo’di fascetta editoriale sulla copertina del volume La vose de la sera, edito da Garzanti nel 1985 a cura e con traduzione (a fronte) di Edda Sera. E qui torniamo a Riva, perché la curatrice e traduttrice del volumetto mariniano fu anche – e proprio nella cittadina gardesana – membro della giuria del Premio di poesia dialettale Giacomo Floriani, che nel 1995 giungeva alla sua terza edizione (ne scriveva il periodico del Centro studi Judicaria sul numero di aprile). Accanto a lei ricordo Elio Fox e Luciano Zannier, che nell’occasione mi donò alcuni suoi testi. Ma l’ideatore del Premio era Enrico Rossaro, trentino di antica famiglia stabilitasi a Riva a fine Ottocento, con avi strenuamente irredentisti (il nonno, Enrico come lui, era intimo amico di Cesare Battisti).
“Rossaro – assicura Carlo Modena, tornato per un po’ alla ribalta dell’attualità politica rivana quale candidato sindaco di un pezzo di centro-destra – è uno di quei gardesani che hanno spiccato il volo per raggiungere lidi prestigiosi; uno che, come si dice, ha fatto strada”. E però dove si trovava ha continuato a sentirsi in esilio, “con una spina dentro, con una gran voglia di rimettere piede fra Brolio ed Anzolim, davanti al lago, all’ombra della Rocchetta, in cerca d’una Riva che il passare degli anni aveva probabilmente cancellato senza che lui – come del resto altri - avesse occhi per accorgersene”.
A Rossaro si deve il volumetto di poesie dal titolo A l’ombrìa de’ste montagne, uscito coi disegni di Guido Polo quale sesto volume della collana Ciacere en Trentin e Veneto nel lontanissimo 1962. “Lavori come questo – assicurava allora Lionello Groff, che ne curò la presentazione – li conto sulle dita”. Quando Enrico morì, nel 2014, qualcuno scrisse che a Giacomo Floriani l’assomigliavano la rivanità, l’amore per il dialetto - da intendere come lingua verace della gente semplice - e la poesia, che celebra i pochi semplici valori di un modo di vivere lontanissimo dal consumismo e dall’esibizione.