di Stelio W. Venceslai
Credo che molti vorrebbero gli Stati Uniti d’Europa. Adesso, più che un sogno politico alla Schumann o all’Adenauer, si tratta di un’esigenza reale. L’Europa, i Paesi dell’Unione, l’Occidente europeo, sono sotto attacco da più parti. Siamo così importanti da essere la migliore preda disponibile sul mercato, e non parliamo della Cina, al momento.
Occorre reagire ai propositi conquista di Putin e di colonizzazione progressiva di Trump. Putin ci minaccia con la forza militare, l’unica che ha. Trump ci minaccia con i dazi e l’intento di disgregare quel poco di unità che abbiamo raggiunto. Quella di Putin è una minaccia potenziale, quella di Trump, invece, è reale.
Sono due pastori pericolosi per un gregge di agnelli come il nostro.
Cosa ci manca per essere un’unità geopolitica seria? Non c’è risposta, perché in realtà non ci manca nulla. Ciò che difetta è una classe politica responsabile, degna della sfida del momento.
Pensate: sono populisti, tutti. Fissati sulla grandeur francese, sul Commonwealth britannico, sui sogni imperiali tedeschi, sulla romanità in Italia. Tutta vecchia roba che non serve più. Le nazioni europee non hanno più un significato politico reale. Le interconnessioni, gli interessi, le vulnerabilità, attraversano tutto il continente, non si arrestano alle frontiere. Il passato è morto e sepolto e degli orgogli nazionali non sappiamo che farcene. Occorre una dimensione europea.
Non mi turba l’idea di un generale svedese alla testa di un esercito europeo e neppure quella di un Capo di Stato maggiore spagnolo oppure di un maltese Ministro delle Finanze europee.
Il nostro interesse è salvare il sistema che è stato costruito in più di mezzo secolo, dopo la seconda guerra mondiale. Basta con gli Stati nazionali. È un lusso romantico che non possiamo più permetterci. I piccoli se li mangia il grande, e noi non vogliamo essere mangiati.
Il vero problema è costituito dalla nostra classe politica, non solo italiana. Sono tutti attaccati alle loro stupide elezioni locali, regionali o nazionali, solo per ottenere dei voti per restare a galla e conservare il modesto potere che abbiamo loro affidato. Di geopolitica non capiscono nulla, di Europa balbettano solo luoghi comuni, ignoranti quasi su tutto, adusi a fare dichiarazioni inutili od ovvie, tanto per fare un’intervista o farsi vedere in televisione. Questa, purtroppo, è la squallida realtà nella quale ci troviamo. Una classe politica ben al di sotto delle aspettative in un momento storico di grandi incertezze.
Perché non si fa quell’Europa che ci sembra necessaria? Perché non abbiamo una classe dirigente capace di progettare, di pensare, di prevedere il futuro. Sono immobili, quasi stupefatti di fronte a mutamenti che non riescono a gestire e a decisioni altrui che non sono capaci di contrastare.
Il pianeta si sta politicamente diversificando. Cina e Stati Uniti si stanno misurando, almeno fino ad ora, sulla spartizione delle aree. La Russia, in fondo, è il terzo incomodo, quella che conta di meno, con i suoi satelliti da quattro soldi: Bielorussia, Corea del Nord e, in parte, ma molto malconcio, l’Iran.
Chi si agita di più, infatti, è proprio la Russia di Putin, un Paese povero, stremato da una guerra insulsa, con le finanze allo sfascio, che non è nemmeno in grado di fornirsi di proiettili e di droni che importa dai Nordcoreani e dagli Iraniani, svendendo a basso prezzo le proprie risorse naturali. L’unica cosa che esporta, da quando da un quarto di secolo governa Putin, è la guerra (in Cecenia, in Georgia, in Armenia, in Ucraina), l’unica vera industria nazionale. In questo modo è diventata, di fatto, tributaria della Cina, che da sempre aspira ai grandi spazi siberiani.
Putin ha bisogno della guerra come del pane per sostenersi, ma non ha le risorse per finanziarla. È un gigante ceco, ossessionato da una visione imperiale che ha fatto il suo tempo.
Dietro, sorniona, ma di ben altro peso, c’è la Cina. Condiziona i mercati internazionali, penetra in silenzio nelle strutture sistemiche dei Paesi africani alla ricerca di materie prime di cui abbisogna la sua tecnologia, ha buoni rapporti con l’India ed il Pakistan, mira al dominio del Pacifico meridionale e dell’Oceano indiano. È il vero ostacolo al dominio statunitense sul pianeta, con un ostaggio: Taiwan.
La partita fra i due vede sul tavolo da gioco l’Europa, le rotte marittime nel Pacifico e la prevalenza sul commercio internazionale.
Sull’Europa, il tentativo americano di staccare il cordone ombelicale che lega la Russia alla Cina, almeno per il momento, sembra fallito. Nel frattempo, continua la pressione americana sull’Europa. Disgregarne la fragile unità esistente, colpendone l’economia, magari con una spartizione d’influenze russo-americane sui Paesi europei, continua ad essere un obiettivo trumpiano. Se l’Europa riuscisse ad essere compatta, fallirebbe anche questo disegno.
Il mondo arabo, ormai, è sotto l’influenza pesante di Israele, il satellite americano. Neppure la Turchia può metterci bocca. Gravemente ammaccato l’Iran, la Siria è un altro ostaggio nel tormentato quadro del Medioriente dove Paesi come il Libano o lo Yemen degli Houthi non contano nulla. Cosa significhi la pax israeliana lo vediamo tutti i giorni a Gaza e in Cisgiordania.
In queste condizioni, è importante discutere di Zaia o di De Luca per le prossime regionali in Italia, della crisi di Milano o di Pesaro, oppure delle speranze di Tisza di soppiantare Orban in Ungheria o di quelle di Macron per sopravvivere dopo le prossime elezioni francesi? L’isolazionismo di Trump fino a che punto è tale? Non è piuttosto la pretesa di sconquassare gli equilibri internazionali per poter dettare legge?
Sì, manca qualunque dimensione europea alla classe politica che la dirige, sotto la guida della von der Leyen che non è mai stata eletta da qualcuno. Questa classe politica è indifferente, se non nemica dell’Europa che vorremmo.
Ci vorrebbe un vero referendum, in tutta Europa, per decidere se cancellare gli Stati nazionali e le loro strutture e puntare su una federazione vera e propria, con un Parlamento federale che esprima direttamente un vero governo europeo con alcune competenze esclusive in politica estera, politica economica e sicurezza. Questo non si significa, ovviamente, cancellare la nostra storia e le nostre differenze e, tanto meno, l’immenso patrimonio culturale che fatto dell’Europa, per secoli, la luce del mondo. Utopie?
Ma non sono un’utopia il declino europeo, la ricerca di un compromesso comunque con il padrone nordamericano, l’incapacità evidente dell’Unione e dei suoi Paesi membri a dire di no. Avremmo delle alleanze importanti, un vero fronte comune contro le bizzarrie economico-politiche di chi governa gli Stati Uniti.
Non servono guerre, ma occorre isolare Washington e i suoi scherani con un cordone sanitario. Vogliono l’isolazionismo? Diamoglielo.