di Ruggero Morghen
Non è mai riuscita a capire, Lia De Gasperi, perché il suo famoso babbo l’avessero chiamato Alcide. Lo apprendiamo da un libro da poco uscito: “Memorie di una figlia”, quasi un instant book (Lia è morta a maggio), ma curato, ma fatto bene. Impegnata nella Fuci e nel movimento di Rinascita cristiana, Cecilia De Gasperi (1930-2025) in famiglia veniva in effetti chiamata Lia. Il babbo prese quel nome dalla Divina Commedia ricordando i versi che descrivono la moglie di Giacobbe: “Io mi son Lia e vo movendo intorno le belli mani a farmi una ghirlanda”. Nel 1943, in occasione dell’ onomastico della figlia adolescente, babbo Alcide invocò su di lei la protezione della sua bella patrona, colla richiesta che facesse crescere Lia “forte d’animo e di carattere come vogliono i tempi duri”. Concludeva assicurando: “Vivo pensando la vostra vita”.
De Gasperi a casa quando si avvicinava il Natale faceva il presepio, e per fare la montagna dietro la santa grotta usava nientemeno che “La vie intellectuelle”. Santo o no, - scrive Lia - “credo che lui sia già e resti egualmente un testimone di come si può vivere in modo esemplare la vita politica”. Due parole che usava spesso rappresentano bene la sua religiosità: “Provvidenza” e “Signore”. Egli invitava a sperare efficacemente, sulla scia del cieco di Bethsaida. La figlia ricorda anche la sua grande passione per il giornalismo, sin da giovanissimo. “Nel 1926 i suoi articoli sul Nuovo Trentino son scritti con la spada, non con la penna”. “Porto la spada nella parola”, avrebbe detto Ubaldo Gervasoni, poeta. Notevoli sono anche le sue lettere sul Concordato, scritte a don Simone Weber e don Giulio Delugan. La sorella di Lia, Lucia – suor Lucia – era invece attratta dalla spiritualità agostiniana, ora riscoperta grazie a papa Leone.