di Nino Galloni

 

Conclusesi le elezioni regionali, spicca un aspetto che appare poco approfondito: l'affluenza alle urne è ulteriormente scesa, mostrando un tendenziale che, in assenza di cambiamenti andrà verso il 40% ovvero il 60% di astensionismo.

È vero che nei modelli culturali cosiddetti anglosassoni ciò è - più o meno - vicino alla normalità; ma nei nostri, "latini", certamente no.

La differenza sta nel fatto che una genetica bipartitica consente ai "passivi" di delegare agli attivi tutta la responsabilità (e le conseguenze) delle decisioni politiche; da "noi" non è così.

Siamo stati costretti al bipolarismo che bene non ci ha fatto, e la non partecipazione ha due aspetti e due conseguenze.

Innanzitutto, esaspera il disagio e la critica di chi sta peggio degli altri; quindi, o non viene praticata l' alternativa di partecipare o, a tale fenomeno, si associa anche quello di non attivarsi - e non attivarsi abbastanza - per soluzioni alternative ed extra istituzionali.

Possiamo partire, perciò, dal domandarci una cosa (poi, in diversa sede, ci sarà occasione per tante altre): di quel quasi sessanta per cento di astenuti, oltre la metà (quindi un trenta per cento del totale) andava... è andato a votare per questo o quest' altro partito; cosa potrebbe riportarli sui valori originari - oggi, pertanto, considerati traditi - e, quindi, ad esprimersi, col voto o in qualunque maniera?

In prima battuta, dunque, ritornare ai "vecchi" valori, beninteso, attualizzandoli, apparirebbe la fondamentale proposta da fare.