IL POPOLO

Politica

È più o meno dall’inizio della storia della nostra repubblica che discutiamo della questione del centro in politica. In origine fu la Democrazia Cristiana ad intestarsi questa definizione per il riferimento al fatto che il partito dei cattolici non intendeva schierarsi né con il liberalismo né con il socialismo marxista, entrambe ideologie condannate dalla Chiesa fra Otto e Novecento. La formazione politica che vuole occupare il centro per essere attrattiva deve sia offrire un progetto credibile di ristrutturazione del quadro politico sia mostrare la forza sufficiente, se non per realizzarlo a breve, per durare nel tempo necessario perché si possa provare a farlo.
Volano gli stracci tra Calenda e Renzi. Non ce ne stupiamo, conoscendoli e contrastandoli da tempo. Volevano fare il centro. Il loro centro, non il nostro centro. Il loro è un centro sbilanciato a sinistra (devono le loro fortune al Pd, non dimentichiamolo), il nostro no. Il nostro centro è popolare e partecipativo, il loro centro (strabico sulla sinistra) è elitario ed autocratico. Noi stiamo andando al XX Congresso convocando i soci lasciati liberi di decidere ciò che vogliono, loro - al massimo - convocavano la gente a Firenze alla Leopolda o a Napoli per incoronare la Carfagna come presidente di un’azione imposta e non scelta.
Concorrere al progetto di ricomposizione dell’area popolare significa impegnarsi per costruire l’unità politica dei cattolici democratici, cattolici liberali e cristiano sociali, premessa indispensabile per dar vita al centro nuovo della politica italiana. Un centro ampio e plurale nel quale possano trovare cittadinanza le culture politiche che hanno fatto grande l’Italia e concorsero in maniera decisiva a costruire le fondamenta costituzionali della Repubblica.
L’assemblea del 25 febbraio al Parco dei Principi è stata una tappa importante nel processo di ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale. Dopo quasi trent’anni della diaspora democristiana (1993-2023) si sono riuniti amici che, in quella dolorosa stagione politica, hanno vissuto esperienze di divisione e contrapposizione. E’ evidente che il progetto potrà svilupparsi, solo se dalla base si costruiranno le condizioni politico organizzative per il ricongiungimento delle diverse componenti presenti in sede territoriale della nostra area. Non esistono scorciatoie o strade privilegiate, al di fuori di quelle che possono e devono nascere dalle nostre realtà locali.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo la nota di Ettore Bonalberti che da conto del Convegno organizzato dagli amici di area popolare, Sabato 25 Febbraio scorso, all’Hotel Parco dei Principi a Roma, costituisce un passaggio fondamentale nel progetto di ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale. Trattasi di un’occasione da non perdere anche da parte degli amici della DC che, dal 2012, sono impegnati nel progetto di ricostruzione politica della DC, ossia per dare pratica attuazione alla sentenza n.25999 del 23.12.2010 della Cassazione, secondo cui: La DC non è mai stata giuridicamente sciolta.
Mentre in Europa si propende a creare direttive comuni per tutti i Paesi membri e omogenizzare le varie legislazioni, in Italia si intraprende un percorso inverso con la cosiddetta “autonomia differenziata”. Ovvero riconoscere alle regioni, anche a quelle speciali, una sostanziale autonomia in molte materie, alcune delle quali oggi di esclusiva competenza dello Stato. L’autonomia differenziata non aiuterà affatto lo sviluppo della nazione, ma perpetuerà - ope legis - quella marcata differenza tra regioni, lasciando ancora più indietro il meridione d’Italia.
A Venezia siamo interessati a favorire l’avvio di un centro civico popolare di partecipazione democratica, nel quale aprire finalmente, dopo anni di silenzi e di divisioni nella diaspora post democristiana (1993-2023), il dialogo tra i diversi movimenti, associazioni, gruppi e persone appartenenti alla vasta area politico culturale popolare.
Dobbiamo tornare a Sturzo, se vogliamo conservare intatti i caratteri di un partito popolare, ma ciò significa: da un lato ricomporre la frattura tra il momento dell'autonomia e quello delle responsabilità e, dunque, ri-attribuire una concreta capacità impositiva agli enti locali che dovranno concorrere con lo Stato, sin dal momento dell'accertamento, alla determinazione della politica delle entrate, insieme all'assunzione in presa diretta delle responsabilità nella politica delle uscite; dall'altro a por mano, senza più rinvii ed esitazioni, ad una rigorosa riforma fiscale che annulli le attuali insopportabili ingiustizie e sperequazioni.
Con sondaggi che danno il partito di Giorgia Meloni oltre il 30%, qualche amico, anche tra coloro che si dichiarano “Popolari” di questa o quella regione d’Italia e che hanno, verosimilmente, votato per FdI, si illudono di aver trovato la loro nuova DC. Certo, se una parte non indifferente di ex DC nelle ultime elezioni politiche ha scelto di votare a destra, qualche autocritica seria dovremo pur farla, specie noi che, dal 1993 e nella lunga stagione della diaspora DC, abbiamo tentato, sin qui senza successo, di batterci per la ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo. Non possiamo continuare a restare fermi in attesa di Godot, il surplace non può essere la condizione dei cattolici nella politica italiana. I Popolari della Margherita, tranne alcuni ultimi ancora fiduciosi, hanno già preso atto del fallimento del progetto aperto al Lingotto da Veltroni nel 2007 e dell’irrimediabile deriva a sinistra di quel partito. Anche a destra, dopo l’illusione del risultato “specialissimo” della nuova DC di Cuffaro in Sicilia, a molti di noi “ DC non pentiti” appare suicida l’ipotesi di alleanze a destra col solo obiettivo di far sopravvivere nel galleggiamento qualche esponente politico.