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Politica
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La sconfitta del centro destra è politica non numerica. Per i sostenitori di una cultura democristiana si impone una riflessione. Si è di fronte a un così grave risultato amministrativo che non può essere imputabile solo alla calura estiva, ma alla imposizione di candidati che vengono rifiutati al secondo turno perché non offrono garanzie a vasti strati di elettorato con un dissenso che si manifesta in un rifiuto della partecipazione al voto.
Continuare a rinviare, alle calende greche, il Congresso, ci costringe a fluttuare in un limbo senza via d’uscita. Forse è l’effetto inebriante dell’epopea siciliana, che però sconta già un non ben valutato effetto “alone” indotto dai virulenti attacchi mediatici a Cuffaro e per conseguenza al partito. Serve pertanto senza indugio un Consiglio nazionale che deliberi prima possibile la convocazione del Congresso nazionale. In questo quadro, senza questi ingredienti, saremo destinati a non esistere.
La ranocchia aveva una “visione del mondo”, il suo mondo, ma era ovviamente circoscritta a quel piccolo pozzo. Se fosse prevalsa la visione della kupamandika, senza i necessari scambi interculturali, avremmo avuto una diversa e assai più limitata storia scientifica, economica e culturale dell’umanità. Ecco, cerchiamo di guardare al di là dei nostri confini, non per perdere i nostri connotati storici di democratici cristiani, ma per aprirci alle novità e a ciò che la concreta realtà politica effettuale ci offre. Dalla relazione di Grassi, approvata all’unanimità, ripartiamo con l’entusiasmo e la determinazione dimostrata dal 2012 a oggi. Sì, cari amici: tirem innanz, come sempre da Liberi e Forti.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo il punto di vista di “Noi di Centro” oppure “Punto al Centro” che, partendo dalla scissione del M5S insegna qualcosa. La domanda sorge spontanea: dove si collocheranno i dimaiani. Ma fra i lettiani e i contiani c’è ancora posto? E dove si metteranno fra i vari renziani, calendiani, totiani, tabacciani e forse i casiniani? Una chiosa finale: un augurio, un pericolo, un lancio spot maldestro… E se anche Berlusconi e molti dei suoi, fedelissimi e fedelissime, dicesse si al centro e non al centro destra….il neo gruppo “Insieme per il futuro” che farebbe? Resterebbe nel campetto o campo largo di sinistra con i vecchi compagni del M5S? Una ipotesi anche questa. Ma è tutta una altra storia…
Una breve analisi che intende mettere in particolare significanza una certa realtà del partito, affinché il dibattito che si svilupperà, a partire da questi giorni negli organi nazionali e nei precongressi, ci indirizzi a trovare nel migliore dei modi quel percorso virtuoso che ci consenta di offrire, in questo momento così importante per la vita democratica e il futuro del paese, all’Italia e all’Europa le soluzioni migliori per il raggiungimento degli obiettivi di Pace e di rispettosa convivenza tra i popoli. Sono comunque grato a tutti gli amici del partito. Senza quel contributo di idee, anche se alcune, talvolta, non trovano la mia condivisione, non si produrrebbe quella necessaria riflessione, ineludibile, in confronto alla sfida che, coraggiosamente, stiamo affrontando.
C’è da mesi un continuo refrain che sta impegnando due esimi esponenti di quella che fu la corrente di Donat Cattin: Giorgio Merlo e Ettore Bonalberti. Il loro teorema volto ad accentuare il mai sopito progetto di ricomposizione della diaspora democristiana, si pone nell’ottica di un unico obiettivo, ossia. formare una nuova entità politica di centro capace di bilanciare l’attuale polarizzazione del sistema politico attuale imperniato attorno alle due coalizioni di destra e di sinistra egemonizzate sempre più da metodi e contenuti che oscillano tra populismo e demagogie.
Negli ultimi giorni diverse sono state le occasioni per seguire un dibattito politico sempre più indirizzato a creare un Terzo Polo o un Polo Centro. Da molte parti ci sono critiche forti al bipolarismo populista, così si sente dire, di destra e di sinistra. Da Trento a Venezia, da Napoli a Palermo. E’ evidente che l’avvicinarsi del 12 giugno ha alzato la polemica e i distinguo: tutti gli attuali attori e disattori presenti sulla scena comunicativa-politica italiana stanno tirando l’acqua al proprio mulino, nessuno escluso, sono in campagna elettorale e tutti vorrebbero dire di aver vinto e lucrare alla prossime amministrative.
L’elettorato italiano di centro-destra - quando e come non è dato di sapere - si ritroverà di fronte alla scelta di sempre: “il meno peggio”, “purché non sia comunista” e “il meno peggio” non è sinonimo di garanzia del buon governo. C’è, però, la necessità di dare un cambio ai vertici della politica, malgrado i limiti che impone lo straboccare di una Presidenza della Repubblica, espressione del partito Democratico, che, da Napolitano a Mattarella, a conti fatti, potrebbe imporre i suoi governi per 23 anni: di più, cioè, di quanto governò Benito Mussolini, ma soggetto al sovrano!
L’ultimo articolo di Giorgio Merlo pubblicato da “ Il Domani d’Italia”: Centro, che può essere? Non la replica della Dc, ma qualcosa che ne costituisca la ripresa in termini di valori e contenuti” è un contributo importante al progetto di ricomposizione politica della nostra area culturale e sociale. Vorrei innanzi tutto confermare che nemmeno noi che, dal 2011-12, tentiamo di dare pratica attuazione alla sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010, secondo cui: “la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”, abbiamo pensato che si potesse rifare la DC storica. Ciò che è stato è stato e non può essere replicato nelle nuove e assai mutate condizioni storico politiche dell’Italia e del mondo.
Giampietro Comolli interviene nel dibattito e nella discussione aperta da Ettore Bonalberti e intende esprimere un sostegno allo sforzo da lui compiuto in quanto impegnato in diverse attività e attento ai discorsi e agli obiettivi di chi rappresenta o può rappresentare il futuro di questo paese. In primis Comolli ritiene che nessuna nostalgia e risorgenza della democrazia cristiana (intesa come la ex DC) possa oggi catalizzare e proporre una adeguata riflessione politica in una società nazionale (anche europea) che ha vissuto 30 anni di forti rivoluzioni mentali, formative che hanno nelle 2 generazioni successive alla nostra influito non poco.