IL POPOLO

Editoriali

L'8 novembre p.v. è convocata la Direzione DC. Certamente uno dei punti che il Segretario porrà all'esame saranno le prossime elezioni europee. In sue dichiarazioni aveva ventilato un accordo con Forza Italia, menzionando la positiva esperienza in Sicilia. Qualcuno in messaggi ha sollevato perplessità. Certamente si tratta di un tema di rilievo. Fino al Congresso di Roma di quest'anno, segreteria Renato Grassi, l'impostazione era quella di cercare collaborazione e unità di presentazione alle elezioni con i vari soggetti politici che, sia pure in modi diversi e a titolo diverso, si richiamano alla tradizione democratico-cristiana e popolare, in ogni caso nell'ambito della famiglia del Partito Popolare Europeo.
Chi, come il sottoscritto, ha impegnato gli ultimi vent’anni di impegno politico nel progetto di ricomposizione politica dell’area cattolico democratica, liberale e cristiano sociale (nella convinzione che all’Italia serva, come nei momenti migliori della sua storia, la presenza di una forza politica ispirata dai valori della dottrina sociale cristiana, erede della migliore tradizione popolare e democratico cristiana), ritiene che, nella condizione attuale del Paese, retto dalla maggioranza di una minoranza dell’elettorato italiano, per costruire un’alternativa alla destra nazionalista e sovranista oggi al potere, serva costruire un’alleanza ampia e articolata di centro sinistra, nella quale sia forte la componente centrale: democratica, popolare, liberale, riformista, euro-atlantista, nella quale possano convivere i principi e i valori dell’umanesimo cristiano, liberale e socialista.
Non si tratta di pietre, bastoni o di frecce. Siamo ancora lontani da una guerra post nucleare. I due monarchi in Siberia discutono di cose serie: razzi, missili, munizioni. Per ammazzare gente. Hanno deciso che i loro colleghi più grandi: terremoto e inondazioni, stanno facendo troppo poco e nei posti sbagliati. Ci penseranno loro a mettere a posto le cose e nei posti giusti. In fondo, per un ucraino, civile o militare che sia, morire per una bomba russa o nordcoreana, praticamente, è lo stesso. Se Putin ha bisogno degli armamenti nordcoreani vuol dire due cose: non glieli danno i Cinesi ed è alle strette con la produzione indigena.
Gli emigranti non sono regolari o irregolari. Che significa regolari? Nulla. Sono economici o politici? Una distinzione troppo sottile per quelli che vengono da regimi dove la gente muore di fame. Sono solo emigranti. Un Paese con quasi 60 milioni di abitanti, dove la popolazione invecchia, non si fanno più figli e l’industria si lamenta perché non trova braccia per lavorare, da un decennio si dibatte tra inutili Consigli europei, polemiche interne dove ci si sbrana sul nulla e l’emergenza. Questo è un Paese che vive nell’emergenza. Almeno da vent’anni.
No, così non va.Questo Paese è impotente, in tutti sensi. Cambiano i governi, si alterna la destra alla sinistra, ma la solfa è sempre la stessa: mancano i soldi, mancano le strutture, difettano le idee e quando ci sono, sono confuse. Siamo sempre all’emergenza e al piagnisteo: l’Europa deve aiutarci. Perché? L’Europa ci aiuta. In sette anni ha organizzato 48 vertici sull’immigrazione. Vi par poco? Di certo organizzarli è costato molto di più di un semplice intervento umanitario in uno dei tanti pseudo Stati africani per alleviare un po’ di miseria.
Mentre cresce tra le fila degli esponenti del centrodestra, sempre più insofferenti ai contrappesi che la nostra Costituzione interpone nell’esercizio delle attribuzioni istituzionali, una voglia irrefrenabile di smantellamento della parte centrale della Carta dedicata agli assetti e alle funzioni delle varie istituzioni, appare sempre più flebile, da un po’ di tempo, la preoccupazione verso un sempre più chiaro disegno costituzionale teso ad una riscrittura della Carta in direzione di un diverso assetto e peso decisionale delle funzioni istituzionali con conseguente alterazione del virtuoso bilanciamento, come delineato dai nostri costituenti con cui riuscirono a realizzare una ineguagliabile sintesi nell’equilibrio dei poteri imperniata sul ruolo centrale delle Camere.
In queste prime settimane di settembre stiamo assistendo a un crescente dinamismo da parte delle diverse forze politiche in vista del prossimo appuntamento elettorale tra maggio e giugno 2024 nel quale i diversi paesi dell’Ue saranno chiamati a rinnovare i rappresentanti del parlamento europeo. Tra le tante dichiarazioni incrociate e proposte non poteva non fare eco la recente sortita di Matteo Renzi con cui ha messo in campo una sua proposta di massima nell'intenzione di trovare dei partner per la proposizione di una lista comune di area centrista.
Oggi sembra esserci una generale omologazione nello stile e nei comportamenti istituzionali dei politici. Certo c’è sempre qualche eccezione. Ma a farla da padrone è oramai la politica strillata e i tanti funambolismi istituzionali che caratterizzano l’azione politica di molti rappresentanti del popolo. In questo scenario vien da chiedersi se ci sia mai stato un epoca in cui lo stile esprimeva coerentemente l’identità di un partito per compostezza, misura e rispetto dell’avversario.
C’è un’annosa questione che da tempo impensierisce il partito. La riappropriazione del proprio simbolo, o per meglio dire il suo uso spendibile nelle consultazioni elettorali. Stiamo parlando dello storico scudo crociato che da più di cinquant’anni ha caratterizzato e identificato il partito della Democrazia Cristiana. Ovviamente comporterà un litisconsorzio necessario, vale a dire citando tutte le sedicenti associazioni o partiti che pretendono di rappresentare la storica Democrazia Cristiana, con tutte le conseguenze in termini di tempi di risposta della giustizia. Mi auguro che questo tema, così cruciale per l’identità e il futuro del partito, possa trovare ampio spazio in un Consiglio Nazionale che - chiedo al Presidente Renato Grassi - di convocare, prima possibile.
Facciamo nostra, come DC, la proposta del cardinale Matteo Maria Zuppi per una “Camaldoli per l’Europa” e ridiamo forza propulsiva ai nostri contenuti programmatici. Con una suggestiva e appassionante prolusione, il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana ha aperto l’80’ anniversario del Codice di Camaldoli, che, come è noto, fu redatto in quel memorabile incontro da quanti ebbero il coraggio di pensare la rinascita del paese in un quadro di valori condivisi che assicurassero democrazia, sviluppo e progresso.