IL POPOLO

Editoriali

La elezione al soglio pontificio di Leone XIV ha suscitato una attenzione diversa dal passato. Non mi riferisco alla mobilitazione e all’interesse che in ogni tempo non è mancata, ma al modo come è stata commentata da una frange consistente di osservatori. I primi gesti del Santo Padre hanno fatto sì che organi di informazione si discostassero dal pur comprensibile affastellamento di notizie e di curiosità sul nuovo Pontefice, per affrontare questioni antiche e nuove affidate alla cura pastorale del successore di Pietro.
La lettera inviata tramite il Popolo agli Onn. Rotondi, Cuffaro e Cesa, dopo la recente sentenza del tribunale di Roma su nome e simbolo della DC. Gianfranco Rotondi aveva espresso pubblicamente la sua disponibilità per una ricomposizione, ma non ha trovato analoga risposta da Lorenzo Cesa, sembra, soprattutto, per l’irriducibile volontà dell’On Antonio De Poli di conservare la sua rendita di posizione, sempre utilizzata a suo favore con la destra, prima forzaitaliota, poi leghista e, ora, a dominanza della destra meloniana.
Il silenzio può avere tante sfumature. Può essere degli innocenti o dei colpevoli, dei forti o dei pavidi, irato o divertito, oppure perché non si ha nulla dire. Può essere tutto. È malleabile come l’oro, perché va bene in tutte le occasioni ed è prezioso: chi non parla, non dice nulla. Gli puoi attribuire qualunque idea che ti faccia comodo, ma non sai mai se è quella giusta. La politica, purtroppo, almeno da noi, è gridata. Non è neppure importante ciò che si dice. È importante, invece, esternarla, gridarla, sbatterla sui media, purché abbia un eco. È strano, più la gridano, meno si sente. Fa eccezione il Vaticano, dove, invece, è sussurrata. Ma il Vaticano dovrebbe essere il regno dello spirito.
Poco più di ventiquattro ore. Un Conclave molto breve ha risposto di nuovo per la Chiesa, quasi immediatamente, alla domanda d’amore e all’invito a pascere le Sue pecore rivolti per ben tre volte da Cristo a Pietro (Giovanni, 21, 6-17), eleggendo al soglio papale il successore di Pietro.
Netanyahu ha proclamato l’invasione di Gaza e l’espulsione dei Palestinesi dalla maggior parte della Striscia di Gaza. È un’altra follia del premier israeliano, ma nessuno reagisce. Non gli Stati Uniti, che vedono nell’occupazione israeliana di Gaza l’avvio della concretizzazione dell’ipotesi di Trump, considerata solo qualche settimana fa assurda, quella della cacciata dei Palestinesi e della costruzione di una nuova Las Vegas sulle sponde del Mediterraneo. Non l’Europa protesta, timida ed inutile voce nel contesto internazionale. Non la Russia, immobilizzata in un conflitto assurdo in Ucraina, che celebra l’8 maggio una vittoria di ottanta anni fa ed è impantanata in una guerra sanguinosa e senza fine. Non il mondo arabo protesta, il che è molto grave, data la vantata e mai dimostrata fratellanza araba.
Tra aprile, maggio e giugno ci sono ricorrenze significative. Il 25 aprile del 1945 la Liberazione,il 2 giugno del 1946, la nascita della repubblica,il 18 Aprile del 1948 la vittoria della D.C. di De Gasperi e dei partiti democratici; tre vittorie con le quali le libertà civili conquistate furono salvate e anche la Festa del Lavoro. Questa festività sembra essere slegata dalle altre. Il Primo Maggio, universalmente da molto tempo, segna il cammino di emancipazione del mondo del lavoro.
La nostra storia politica è nata con i Popolari di Sturzo, grazie all’estensione del voto varata dal governo Giolitti e l’introduzione del sistema elettorale di tipo proporzionale puro- Legge 1401/1919. Sistema superato dall’infame Legge Acerbo del 1923 (proporzionale con premio di maggioranza che permise la legittimazione della vittoria del fascismo), cui seguirono le leggi 122/1925 e 1019/1928 a sostegno del sistema plebiscitario. Fu con la legge 74/1946 che fu ripreso il sistema proporzionale classico, come indicato dalla Costituzione Italiana.
Sono trascorsi ottanta anni dall’ aprile del 1945. La Resistenza contribuì a evitare al nostro Paese l’ umiliazione di una lunga occupazione e della divisione territoriale. Il sangue di tanti giovani e madri e padri di famiglia fu il tributo generoso che consentì all’Italia di riscattarsi dal passato e imboccare il percorso della libertà e della credibilità nel consesso internazionale. Pagine struggenti di dolore non si possono cancellare. Molto si deve a De Gasperi e ai tanti esponenti democratici a fronteggiare chi intendeva continuare la lotta interna per una svolta autoritaria. I protagonisti della Resistenza sono stati molti e nessuno è stato il tutto.
L’Umanità intera piange Francesco, Vicario di Cristo come guida della Chiesa universale e Uomo profondamente buono e giusto, dono di Dio per tutti gli uomini di buona volontà in Terra.
Papa Francesco ha segnato indelebilmente le nostre esistenze con il suo amore purissimo per ogni uomo, a cominciare dai diseredati, dagli ultimi tra i sofferenti, e poi su fino al primo dei potenti del mondo; ha spalancato le porte della Chiesa, uscendo per primo fuori per le città e le vie del mondo ed esortando la Chiesa a fare lo stesso, per andare incontro ad ogni figlio: come il buon Padre che, scorgendolo da lontano, corre fuori dalla sua Casa con le braccia protese verso il proprio figlio.
L’abbiamo ascoltato con simpatia umana e molta sufficienza, per dodici anni. Predicava pace, tolleranza, fraternità e carità verso tutti gli esseri viventi e per il nostro pianeta. In verità, lo abbiamo udito ma non ascoltato. La sua morte improvvisa, dopo una lunga degenza che si sperava felicemente conclusa, stata una triste sorpresa per tutti. Stava male, ma fino al giorno prima si era affacciato a S. Pietro a salutare la folla dei fedeli. Fino all’ultimo ha esercitato il suo magistero, fatto di parole semplici per farsi capire da tutti, non solo dai teologi, dagli intellettuali, dai Capi di Stato. Troppo semplice, quasi ovvio.